La rivoluzione democratica in BIRMANIA: il cambiamento è sinonimo di progresso ?

In occasione della prima storica visita della paladina democratica birmana Aung San Suu Kyi in Italia, ho recuperato un articolo che qualche mese fa avevo preparato per una rivista. L’ho leggermente aggiustato in termini di lunghezza, anche se resta un post anomalo: vi traccio un profilo della storia della Birmania, dal colonialismo inglese ai nostri giorni, soffermandomi su alcune riflessioni riguardanti il recente passaggio dalla dittatura militare alla democrazia. Con l’occhio del viaggiatore, non posso non notare alcune frizioni tra il cambiamento in atto, certamente positivo, ed alcune scorie negative rilasciate dal cosiddetto progresso. La Birmania, o Myanmar, resta uno dei Paesi più affascinanti dell’Asia ed il mio auspicio è quello che la sua gente conservi sempre quel carattere mite e solare di cui non si è mai privata anche durante gli anni più bui della dittatura.

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Aung San Suu Kyi (web)

Con maestria il pescatore affonda la propria rete conica nelle acque basse del lago Inle e, manovrando la barca con un solo remo avvinghiato alla gamba, estrae dalla nassa un paio di guizzanti pesci argentei: anche stasera la cena per la famiglia è assicurata e l’uomo guadagna la strada di casa remando nel modo tradizionale degli Intha, il gruppo etnico tibeto-birmano che da secoli abita questo incredibile ecosistema lacustre. Osservare i movimenti lenti ed armoniosi dei pescatori Intha che tornano alle proprie semplici palafitte, nell’atmosfera serena e avvolgente del tramonto, rende difficile pensare che la Birmania stia attraversando uno dei momenti più significativi di cambiamento della sua secolare storia.

Pescatore del lago Inle (vikingandre.com)

Pescatore del lago Inle (vikingandre.com)

La Birmania deriva il suo nome dal gruppo etnico di maggioranza, i Bamar: assunse la denominazione Union of Burma dopo essersi smarcata dall’impero anglo-indiano e aver raggiunto una fragile indipendenza nel 1948; la disgregazione sociale e i contrasti tra le varie etnie insanguinarono il Paese per lunghi anni del secolo scorso, finché nel 1988 un colpo di Stato da parte della giunta militare guidata dal generale Saw Maung instaurò un nuovo regime autoritario e repressivo. Fu nel 1989 che la giunta militare al potere cancellò d’ufficio il nome Birmania, sostituendolo con Myanmar (secondo i militari più rappresentativo delle diverse etnie presenti nel Paese e soprattutto completamente differente dal vecchio nome che richiamava il passato coloniale) e spostando addirittura la capitale nel 2006 da Yangon a Naypyidaw, luogo meno accessibile e quindi più ostile ad accogliere le manifestazioni di dissenso del popolo.

Ma la voce di tale dissenso proruppe lo stesso, in particolare dalla figura esile di Aung San Suu Kyi, figlia dell’eroe dell’indipendenza Bogyoke Aung San e paladina della libertà: divenuta leader della Lega Nazionale per la Democrazia, venne posta agli arresti in occasione delle finte elezioni indette nel 1989 dalla giunta, il cui risultato, una schiacciante vittoria per il partito di San Suu Kyi non venne mai riconosciuto dai militari al potere. Durante gli anni della prigionia la donna ricevette numerosi premi internazionali, tra cui il Nobel per la Pace nel 1991, e non abbandonò mai la propria paziente attività di mediazione e contemporaneamente di lotta, grazie anche all’opera clandestina di tanti sostenitori nel Paese e al sostegno pubblico di importanti personalità della scena internazionale, tra cui l’arcivescovo sudafricano Desmond Tutu.

Durante questa paziente e tenace resistenza, virtù radicata nel cuore degli asiatici, le condizioni di vita del popolo birmano conobbero un ventennio di drastico peggioramento. La giunta militare si preoccupò principalmente di fare affari con grandi potenze quali la Cina e la Russia, a cui praticamente regalò parte delle immense ricchezze naturali del Paese (materie prime, giacimenti minerari, pietre preziose) oppure con una rete di ‘baroni’ locali dediti al contrabbando di droga e alla creazione di imperi personali. In questo scenario, la popolazione urbana e quella rurale subirono le conseguenze peggiori del regime autoritario: la prima venne soffocata in ogni tentativo di libertà d’espressione, di organizzazione sindacale, di sciopero e manifestazione del dissenso, di stampa, di contatti con l’estero; la seconda, distante dai giochi di potere politici ed economici, fu costretta ad occuparsi solo della propria mera sopravvivenza quotidiana, priva cioè di qualsiasi sostegno statale e pubblico, terrorizzata dal possibile intervento militare in caso di protesta per le proprie misere condizioni. Le rivolte di fine Novecento ebbero come protagonisti gli studenti delle grandi città ed i monaci, le uniche fasce di popolazione sufficientemente istruite per intercettare e manifestare la protesta, ma furono soffocate nel sangue grazie anche al ripristino della legge marziale.

Monaci in fila per il pasto comunitario presso Mandalay (vikinga

Monaci in fila per il pasto presso Mandalay (vikingandre.com)

Chi ha avuto l’opportunità di viaggiare come turista nella Birmania dell’inizio del Ventunesimo secolo è stato facile testimone di una realtà sospesa tra passato e presente, caratterizzata dalla mancanza di un sistema educativo e scolastico obbligatori, dall’assenza di una rete sanitaria a livello nazionale, dalla presenza di infrastrutture desuete risalenti per la maggior parte all’eredità coloniale britannica. Visitare la Birmania in quegli anni significava attraversare il tempo e ritrovarsi in un passato quasi del tutto dimenticato in Occidente: i bambini al lavoro nei campi con i genitori, gli anziani a fumare serenamente i propri cheerot (grossi sigari fatti a mano) e ad attendere il tramonto, paesaggi rurali rigogliosi, ricchi di colori e profumi, impreziositi da pagode e stupa secolari, giovani monaci buddisti in meditazione o in fila per la ciotola di riso quotidiana… nell’estrema povertà, i birmani mantenevano una grande dignità ed una timidezza curiosa, che inevitabilmente sfociava in un bel sorriso. La terra delle pagode e dei sorrisi: sorrisi semplici, sinceri, genuini.

Terra di pagode... (vikingandre.com)

Terra di pagode, stupa e sorrisi… (vikingandre.com)

Lo Stato si ricordava dei suoi cittadini solo quando questi alzavano coraggiosamente la testa e protestavano per le condizioni di vita misere in cui si trovavano a sopravvivere: in quei momenti scattava la rappresaglia, dura e silenziosa, contro studenti, monaci e gente comune di Yangon e Mandalay. La latitanza dello Stato in tutti gli altri campi, in particolare delle politiche sociali, economiche e culturali, venne in parte colmata da alcune figure eccezionali per abnegazione e tenacia: i sostenitori clandestini dell’opposizione democratica e i seguaci di San Suu Kyi non cessarono mai di tramare alle spalle del regime, di tessere la rete dei contatti e delle idee e di esprimere il dissenso anche in forme d’arte meno palesi, ma altrettanto efficaci (come la musica degli Iron Cross, che nella grande tradizione del rock sfidò le istituzioni repressive con il proprio motto Rock the junta); i monaci buddisti giocarono un ruolo fondamentale nella circolazione delle idee e della cultura, accogliendo nei propri monasteri molti bambini e giovani e insegnando loro la lettura, la scrittura, le lingue e le strutture del pensiero filosofico; infine i sacerdoti missionari cristiani, non rappresentarono in quegli anni solo una figura di riferimento spirituale, ma anzi tradussero il Vangelo in azioni concrete di pura solidarietà ed amore per il prossimo, aiutando i bisognosi in ogni campo, in ogni remoto angolo del Paese.

Iron Cross live (web)

Iron Cross live (web)

Verso la fine del primo decennio del Duemila, l’acuirsi della sanzioni internazionali indussero il regime ad allentare gradualmente la presa autoritaria, con mosse spesso di facciata ma che sancirono l’inizio di un’inevitabile fase di riforma in direzione democratica. Nel 2010 si tennero le prime elezioni dopo 20 anni dalle ultime e vennero promulgate leggi sul lavoro, sull’associazionismo sindacale, sui diritti civili e sull’apertura ad un’economia mista. Il cambiamento era in atto e le riforme aprirono una nuova fase politica di riconciliazione nazionale, segnata dalla lieta liberazione di San Suu Kyi nel novembre di quell’anno e dalla vittoria della sua Lega Nazionale per la Democrazia alle elezioni generali del primo aprile 2012, in cui però si distribuiva solo una piccola parte dei seggi in Parlamento, dato che la maggioranza veniva sempre attribuita ad ufficiali nominati dalla giunta militare.

Oggi, il processo nato come una timida democratizzazione sta assumendo sempre più i contorni di un evento epocale: la recente visita del presidente degli Stati Uniti d’America Barack Obama ha definitivamente fatto puntare i riflettori dei media internazionali sulla Birmania, dopo anni di isolamento la procedura di ottenimento dei visti turistici è stata resa più semplice e un flusso sempre più consistente di viaggiatori internazionali e soprattutto asiatici affolla gli alberghi e i siti turistici. Con impressionante rapidità l’inflazione è cresciuta, i banchetti di souvenir si sono coperti di magliette con il volto di San Suu Kyi, internet è più veloce e le e-mail arrivano a destinazione in tempo reale. Persino i telefoni cellulari ed le connessioni wi-fi cominciano a diffondersi, mentre le banche cambiano la valuta straniera senza più necessità del mercato nero clandestino, gli alberghi 5 stelle di Yangon sono costantemente affollati di businessmen in cerca di affari e le strade traboccano di traffico grazie all’apertura dell’importazione di autoveicoli.

Shwedagon Pagoda a Yangon (vikingandre.com)

Shwedagon Pagoda a Yangon (vikingandre.com)

La gente è in fermento, ottimista, speranzosa: vuole godere appieno dei nuovi, inediti spiragli di libertà. Fino a pochi mesi fa, la gente comune viveva con la preoccupazione di essere controllata nelle proprie azioni e nell’espressione del proprio pensiero. Il regime non ha mai riempito le strade ed i luoghi pubblici di militari in divisa, ma ha creato un clima di paura e diffidenza, una sorta di cappa che gravava minacciosa su ciascun cittadino. Ora il più significativo segno del cambiamento, al di là dei piccoli seppur importanti progressi pratici quotidiani, è proprio il dissolvimento di questa cappa di paura e oppressione. Prima era meglio meglio tenere per sé le proprie idee, magari quel signore all’angolo in attesa dell’autobus era un militare in borghese che sarebbe potuto intervenire se insospettito da una qualche forma di dissenso… ora invece il timore ed il sospetto di essere controllati è svanito, la libertà è soprattutto psicologica, è uno stato mentale.

Chi ha visitato il Paese anni fa e vi torna ora non riconosce più la Birmania di un tempo, soprattutto nelle città: i ritmi tranquilli e gli atteggiamenti sottomessi di un passato recente lasciano spazio ad ingorghi stradali e ad attività frenetiche. Molte persone che si trovano a sperimentare per la prima volta una forma seppur acerba di libertà, confondono questo nuovo status con la possibilità di fare ciò che pare a loro: il passo indietro del regime oppressivo è interpretato come assenza di autorità e molti ignorano le regole perché tanto non c’è più chi le fa rispettare rigidamente. La gente comincia a vedere i visitatori stranieri non più con occhio curioso e timido, ma come una risorsa da cui trarre guadagno. E i sorrisi appaiono un pochino meno genuini di una volta, anche il fascino delle pagode di Bagan sfuma lentamente mentre grandi bus scaricano decine di turisti tailandesi, coreani e cinesi. In pochissimo tempo si è passati da 300mila ingressi annuali in Birmania per turismo a quasi quasi un milione di visitatori nel 2012.

Folla alla preghiera serale (vikingandre.com)

Folla alla preghiera serale (vikingandre.com)

Ci si può chiedere se il cambiamento, soprattutto quando è così repentino, sia sempre sinonimo di progresso: la giunta militare tuttora al potere è in grado di traghettare il Paese verso il futuro limitando gli strappi, le ingiustizie e gli effetti negativi che tali eventi (che rimandano al crollo dell’Unione Sovietica) portano sempre con sé? Non bisogna dimenticare che il processo di apertura è stato voluto e guidato dall’alto, grazie agli elementi più illuminati tra le fila dei dirigenti militari: questi hanno captato i segnali di una crescente insofferenza interna ed internazionale ai metodi di governo autoritari e, dopo una severa fronda interna, hanno scelto la strada delle concessioni e delle riforme graduali. Gli esempi dell’Iraq, della Libia, dell’Egitto, della Tunisia, della Siria devono aver pesato sulla scelta dall’alto di gestire il cambiamento anziché di combatterlo frontalmente.

Il rischio è che la giunta, una volta attivato il processo dirompente di democratizzazione, cerchi quantomeno di accaparrarsi una bella fetta del potere economico prima di lasciare le briciole ai birmani più svelti e intraprendenti.

La speranza è che il carattere mite e semplice di questo popolo ne esca rafforzato, e non stravolto, nella propria identità.

Lago Inle (vikingandre.com)

Lago Inle (vikingandre.com)

Sono interrogativi e questioni a cui solo il tempo potrà rispondere. Nel frattempo, il pescatore Intha gira i suoi pesci sulla brace e scruta l’orizzonte, mentre gli ultimi raggi di sole scintillano sulle acque placide del lago Inle.

Shwezigon Pagoda vicino a Bagan (vikingandre.com)

Shwezigon Pagoda vicino a Bagan (vikingandre.com)

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