Sfogliando l’album dove conservo i biglietti di tutti i concerti a cui abbia mai assistito, trovo un tagliando giallo con l’immagine di una specie di angelo femminile e la scritta NIRVANA, Milano, Palatrussardi, 25 febbraio ’94.
Nel ventesimo anniversario dalla morte di Kurt Cobain non riesco a non tornare con la mente agli anni Novanta, gli anni dell’adolescenza, gli anni in cui nella mia testa potevano convivere genere musicali disparati come il metal ed il grunge… inghiottivo, respiravo, assorbivo tutto il turbinio di emozioni che la musica di quel periodo sapeva offrire, purché guidata dai suoni distorti di una chitarra elettrica…
Come dimenticare il concerto dei Nirvana di quel lontano 1994 ? Il Palatrussardi stracolmo, gli amici con i capelli lunghi e i jeans strappati, il sapore della birra e delle labbra della mia ragazza, gli accendini che illuminavano le tribune (non esistevano gli smartphone!), i suoni vibranti, quasi psichedelici di quella band di Seattle che vomitava decibel dal palco… e Kurt, la testa un po’ chinata, un cappellino di lana e poi i capelli biondi a coprirgli gli occhi, non una parola tra una canzone e l’altra, quasi distaccato, triste.
La notizia della sua morte, poche settimane dopo, è stata un pugno nello stomaco, uno squarcio improvviso in quella nuvola spensierata che era l’adolescenza… sembrava che il mondo adulto avesse allungato una mano dal futuro e si fosse portato via uno di noi, uno che avevamo appena visto suonare per noi, ad una grande festa.
Adesso il Palatrussardi è praticamente abbandonato e non credo abbia più neanche un nome, Dave Grohl non suona più la batteria, gli amici di quel concerto sono volati lontano, i capelli sono corti e sempre più radi. Ma nulla potrà mai cancellare il ricordo di quei momenti di vent’anni fa, il ricordo di quegli occhi azzurri seminascosti dai capelli, il ricordo di quell’energia e di… quell’odore di spirito adolescenziale…
Oggi, 5 aprile 2014, la voce roca e calda di Kurt fa ancora vibrare gli amplificatori del mio stereo, una mano dal passato che si allunga e getta una manciata di note colorate sul grigiore in cui spesso sfuma questa vita adulta.