Una volta consideravo i MUSE una band un po’ troppo leggera per i miei gusti musicali, troppo melodica e mainstream per uno che mangiava Slayer a pranzo e Testament a cena. Non disdegnavo qualche interessante episodio della loro discografia, mi incuriosiva il fatto che bazzicassero Como e che sperimentassero con vari strumenti elettrici ed elettronici assemblati ad hoc per esaltare il loro sound, ma nulla più di un’alzata di sopracciglio…
Vent’anni più tardi non riesco a togliere dal lettore cd il nuovo disco dei Muse ! Forse è il segno dell’età che avanza, oppure semplicemente perché l’album DRONES “spacca di brutto”, come direbbe la mia consorte, grande fan del terzetto del Devon. In effetti riscontro una sorta di allineamento tra l’ammorbidimento dei miei gusti musicali e l’irrobustimento del suono dei Muse in Drones, ora ripulito dagli arabeschi elettronici a favore di una chitarra secca, intensa e di una sezione ritmica incisiva, quasi marziale.
Bastano pochi ascolti affinché pezzi come “Dead Inside”, “Psycho” e “Mercy” si incidano nella memoria con i loro riff ben definiti, le ritmiche trascinanti ed un cantato sempre all’altezza; ma anche i brani più sperimentali e meno catchy, quali per esempio l’epica “Aftermath”, la progressive “The Handler” e la quasi metal “Reapers”, si inseriscono alla perfezione nel contesto di “Drones”, arricchendo di sonorità variegate e di soluzioni melodiche originali un album già di per sé molto consistente e dalla produzione impeccabile. Un album che si chiude con un pezzo di musica classica ispirato ad una composizione di Giovanni Pierluigi da Palestrina, maestro del Rinascimento, e con un sacrale “AMEN!”… non può che lasciare l’idea di aver davvero appena ascoltato una liturgia musicale celebrata dai tre officianti di Teignmouth.
Sul palco Matt Bellamy (voce e chitarra, talvolta piano), Dom Howard (batteria) e Chris Wolstenholme (basso e seconda voce) sono una potente ed inesorabile macchina da decibel, che consiglio…. vivamente…. di ammirare all’opera.
Nell’estate musicale 2015 ho puntato tutte le mie fiches sul Sonisphere svizzero di Biel/Bienne-Nidau di cui appunto i Muse erano annunciati headliner. Una nota di merito va all’organizzazione: memore di un terrificante concerto Sonisphere 2010 con i Metallica sciaguratamente tenutosi nelle campagne presso Zurigo, dove ho trascorso più di 10 ore con il fango ben oltre le caviglie, temevo di poter ricascare in un altro inferno succhiasoldi dei cugini elvetici. Mi sbagliavo. La cifra scucita è stata sicuramente ragguardevole, ma la location e l’organizzazione sono valse ogni singolo franco investito. A causa di un mega ingorgo al San Gottardo, io e la mia “musa” siamo arrivati al paesino del concerto circa 1 ora prima dell’inizio degli headliners, ma ciononostante abbiamo trovato facilmente un parcheggio gratuito a pochi passi dall’ingresso.
L’area del concerto era stata allestita in un bel parco circondato da un lago, da alberi e da verdeggianti colline: a differenza dell’angusto parcheggio in asfalto del Forum di Assago (Postepay Milano Summer Festival, tanto per citare un altro infausto evento), delimitato da container arrugginiti e percorso da simpatici fili dell’alta tensione, in Svizzera abbondava lo spazio vitale, sono state innalzate apposta comode tribune, sono stati installati numerosissimi bagni chimici e dappertutto erano pure segnalati dei grossi contenitori per l’immondizia (puntualmente utilizzati dalla folla, composta soprattutto da compiti fans svizzeri, francesi, tedeschi e anche da qualche italiano… indisciplinato). I banchi dei mixer erano situati in tende basse che non impedivano la vista a chi stava dietro ed il palco era attrezzato con 3 grandi schermi che consentivano di godersi lo spettacolo appieno da qualsiasi distanza. Alle spalle della tribuna principale è stata creata poi una sorta di “food-hall” all’aperto con panche, tavoli, bagni e soprattutto un’infinità di stand che serviva ogni genere di cibo e bevanda, dall’hamburger all’hot dog, dal burrito messicano ai ravioli cinesi, dalla pastasciutta al rösti, dalla panaché al caffè.
I Muse hanno letteralmente ribaltato la folla a colpi di rock, spazzando via per quasi 2 ore la quiete di quest’angolo di Svizzera incastonato tra Francia e Germania, con un’esibizione intensa, trascinante, tecnicamente impeccabile, supportata da pochi effetti scenici (qualche gioco di luce, una cascata di coriandoli bianchi e rossi, dei mega palloni neri rimbalzanti sulla folla…), ma soprattutto da un suono pulito, potente ed equilibrato che ha contribuito all’ottima riuscita della serata.
Ed oggi siamo qui, Drones costantemente nello stereo col volume a tacca 12, a scorrere l’elenco delle date dei prossimi concerti dei Muse, fantasticando se sia più facile andarli a vedere a Buenos Aires in ottobre o a Singapore a settembre…
…..DO YOU UNDERSTAND ? AYE SIR !!!!